Nell’ anniversario dell’uscita, abbiamo riascoltato l’album di debutto degli Who “My generation”

Erano giovani e sfrontati. Imitavano l’adorato rhythm & blues americano caricandolo d’esuberanza bianca e british. E quando si trattò di registrare l’album d’esordio, lo fecero nel giro di poche ore, suonando come avrebbero fatto in concerto e riservandosi mezza giornata per le sovraincisioni. Gli Who di “My generation” hanno l’ingenuità dei ventenni che stanno imparando il mestiere e la foga di chi vive il presente in modo intenso, e non a caso quando verrà il punk si farà beffe del passato prossimo, salvo prendere a modello la band di Pete Townshend, Roger Daltrey. Keith Moon e John Entwistle. Verranno dischi migliori, come “Tommy” e “Who’s next”, il meglio del meglio, ma “My generation” è un momento fondamentale non solo nella storia del gruppo, ma anche di quella del rock britannico. È il 1965 e una generazione di musicisti che ha appena cominciato a suonare impara a usare fonti e influenze per sviluppare un linguaggio personale. Da qui uscirà un capolavoro di sintesi, la canzone “My generation”, uno slogan epocale (“Spero di morire prima di diventare vecchio”) e alcune canzoni killer fra cui “The kids are alright”, che viene eseguita ancora oggi. Uscirà, pure, l’idea degli Who come gruppo formato dall’unione di quattro personalità diversissime, ma perfettamente complementari.

“The Who sings My generation”, come s’intitolava il 33 giri negli Stati Uniti in passato è stato ristampato su CD più volte, rimasterizzato, arricchito da bonus track, celebrato. Il cinquantesimo anniversario della pubblicazione, che è caduto nel 2015, è l’occasione per riunire gran parte delle registrazioni del periodo in un box di cinque dischetti con il disco in mono e in stereo, materiali d’epoca e demo, e in più un libro di 80 pagine e vari gadget (disponibile anche in digitale e su vinile). Se la rimasterizzazione datata 2016 del mix mono mira a rappresentare l’album come lo si ascoltava nel 1965, il mix stereo contenuto nel secondo CD è un oggetto più interessante. È stato pubblicato due anni fa, solo su iTunes. Townshend e Daltrey non si sono limitati a remixare le tracce originali, ma hanno realizzato nuove sovraincisioni presso lo studio casalingo del chitarrista e allo Yellowfish Studio. Niente di radicale: si tratta di piccole aggiunte, magari solo del feedback, effettuate con strumenti e microfoni d’epoca al fine di ricreare alcuni particolari incisi nel 1965, ma rimasti fuori dalla versione stereo originale. La somma fra nuovo mix, rimasterizzazione e ritocchi fa sì che l’esperienza di ascolto in cuffia delle due versioni di “My generation” sia molto differente.

Copertina dell’album “My Generation” – 1965

Gli altri tre compact disc del cofanetto mettono ordine nelle bonus track già pubblicate e propongono qualche novità. Il terzo CD contiene 23 tracce aggiuntive in mono. Le prime 12 furono pubblicate fra il 1965 e il 1966, e riedite nel 2002. Si tratta di 45 giri storici come “I can’t explain” o “Anyway, anyhow, anywhere” con relativi lati B come “Bald headed woman” con Roger Daltrey impegnato nell’imitazione dei bluesman americani, oppure cover R&B come “Leaving here” e “Shout and shimmy” di James Brown, incredibilmente simile a “Shout” degli Isley Brothers. O ancora, hit d’epoca alla “Heatwave” di Martha & the Vandellas e novelty come “Rubie, come back home”, la risposta di Paul Revere and the Raiders a “Louie, Louie”. C’è anche “Anytime you want me” di Garnett Mimms, ovvero: anche chi urla come un rivoluzionario o suona bicordi feroci ha cominciato facendo coretti svenevoli su canzonette d’amore. Altre 11 tracce, remixate nel 2000 e rimasterizzate nel 2016, vedono la luce per la prima volta, anche se si tratta di versioni e mix alternativi.

La scaletta del quarto CD ricalca in parte quella del terzo e offre mix stereo di varie bonus track, 17 pubblicate sinora solo su iTunes nel 2014, altre 4 inedite e rimasterizzate quest’anno. La parte più curiosa è costituita dai demo contenuti nel quinto CD. Com’è noto, le canzoni degli Who nascono tradizionalmente da provini effettuati da Pete Townshend in totale solitudine. Il chitarrista possiede un vero patrimonio di incisioni di prova, che hanno alimentato fra le altre cose la serie dei suoi “Scoop”, ed è un piacere da cultori sentire qui riuniti quelle relative all’album d’esordio. Le registrazioni hanno un carattere a volte dimesso e casalingo, ma stupisce il fatto che a metà anni ’60 Townshend, non ancora ventenne, effettuasse provini multitraccia. Se la versione quasi ironica di “My generation” che apre il dischetto era già stata allegata come flexi-disc al libro di Richard Barnes “Maximum R&B” e “La-la-la-lies” era entrata a far parte di “Another scoop”, le altre 10 esecuzioni non erano ancora state pubblicate. Fra le composizioni note, la più sorprendente è una versione di “Sunrise” dove si rintraccia un’influenza della bossa nova molto più marcata rispetto alla canzone pubblicata nel 1967, ma c’è anche una “Legal matter” dal sapore quasi country.

Hanno giustamente suscitato grande interesse le tre composizioni inedite “As children we grew”, “My own love” e “The girls I could’ve had”, che Townshend ha ripescato dai propri archivi e che a quanto pare nemmeno Daltrey aveva mai ascoltato prima. La prima, abbozzata per chitarra, voce e coretti, ha il piglio narrativo e il carattere melodico delle rock opera che verranno. La seconda è una ballata folk promettente. La terza, con Townshend che sovraincide voce, chitarre e basso (forse una chitarra con una accordatura abbassata), è un quadretto della sua vita da nerd dello studio di registrazione. Una vita che, al contrario di Daltrey, gli impedisce di avere successo con le ragazze. Più o meno: un demo sulla vita di chi incide demo.

Prove tecniche di grandezza.

Tratto da Rockol.it

https://www.rockol.it/recensioni-musicali/album/6722/who-my-generation-50th-anniversary-super-deluxe?refresh_ce